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11/04/2013
Nemesi di Philip Roth: incontro tra storia e poesia
Iniziando dal titolo, la parola "Nemesi" introduce immediatamente il lettore nella storia. Il termine, per la mitologia greca, identificava la giustizia punitrice che alterava l’ordine del mondo. Alcuni scrittori antichi la adoperavano attribuendole il significato di sdegno, indignazione, collera.
Nell'accezione attuale la “nemesi storica” potrebbe essere intesa come un'escalation di eventi negativi. Tutte queste variabili interpretative della parola si ritrovano nel romanzo di Roth edito da Einaudi nel 2011.
Ci troviamo nel periodo estivo, nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, alla quale il nostro protagonista, Eugene Cantor, detto Bucky, non ha potuto partecipare per un grave problema alla vista. I sensi di colpa del giovane e atletico ventitreenne si ribaltano sulla sua attività estiva di animatore di campo giochi per i bambini, che svolge all'interno del quartiere ebraico di Newark.
Nonostante il periodo non sia dei più semplici, l'impegno e la dedizione con cui assolve il suo compito, sono ammirevoli. A peggiorare la situazione, c'e' una temibile e dilagante epidemia che sta avvolgendo città: la polio, un virus che aggredisce in particolar modo i più piccini e attacca il midollo spinale, causando malformazioni o, nella peggiore delle ipotesi, anche la morte.
Bucky si trova ad affrontare la sua battaglia personale ma, nonostante la sua integrità morale, trasmessagli dai nonni con i quali è cresciuto, non riesce a declinare l'invitante proposta della sua ragazza Marcia, animatrice di un campo giochi, la Indian Hill, sulle montagne delle Pocono Mountains.
A valle della morte di due frequentanti del suo campo nel suo animo trovano posto contemporaneamente paura, rabbia e indecisione. I sensi di colpa lo tengono sveglio la notte e non gli consentono di godere in maniera totalitaria delle stupende possibilità che Indian Hill gli offre perche' avverte il rimorso di non essere rimasto al fianco dei bambini del suo quartiere.
La rabbia verso Dio di cui a un certo punto dubita l’esistenza, si sposta inevitabilmente su se stesso, quando subentra in lui il timore di aver portato la poliomielite (che ha contratto e di cui inizialmente è portatore sano) a Newark ed a Pocono Mountains.
Per Bucky il distruttore non è Dio, o almeno non solo. Per la sua grave colpa, per quanto inconsapevole, decide di autopunirsi, privandosi dell’amore della sua fidanzata. La voce narrante è quella di Arnie Mesnikoff, uno dei bambini del campo giochi di Newark che contrasse la polio e che a distanza di trent'anni incontra Bucky.
A differenza di questi, è un uomo felice ed appagato. Il suo ex istruttore decide di raccontargli la sua vita per intero, permettendo in questo modo alla storia di avere più punti di vista.
Philip Roth, il romanziere ebreo nativo di Newark ha compiuto 80 anni il mese scorso. Autore de “La macchia umana” e di “Pastorale Americana” (grazie al quale vinse nel 1997 il Premio Pulitzer), ha annunciato nel novembre 2011, dopo 27 romanzi, l’abbandono della scrittura. Dopo innumerevoli premi, nel 2011 ha ricevuto la National Humanities Medal della Casa Bianca.
Giuliana Scamardella
