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Roscigno vecchia: il paese fantasma

31/10/2013

Roscigno vecchia: il paese fantasma

E' domenica, il tempo promette bene e la temperatura è assai gradevole. Giusto il tempo di fare colazione, un rapido giro di telefonate con gli amici di sempre e via, si parte per la consueta gita con destinazione Cilento. Si scherza, si ride, l'atmosfera è goliardica e serena e arriviamo in loco senza accorgercene. Facciamo sosta per un caffe' e, distrattamente, ascoltiamo due vecchietti che argomentano di Roscigno, il paesino "fantasma". Subito parte la domanda: "Ma quanto dista da qua" ? Risposta: " un quarto d'ora".... All'unisono ci fiondiamo in auto e via verso la nuova meta. E' un'occasione che non possiamo perdere!

Pochi chilometri e ai nostri occhi si staglia una collinetta, alle falde dei monti Alburni, dove intravediamo il paesino, anche denominato la Pompei del Novecento. Gli abitanti, infatti, a causa dell'incombente timore delle frane furone costretti ad abbandonare il borgo ed a trasferirsi nella parte nuova. Ci accoglie un paesaggio non certamente dei migliori. Strade sterrate, ciottoli, solai caduti, vecchie botteghe dalle porte sbarrate e case cadenti.

Non è difficile capire che siamo già nel fulcro del paesino: piazza Giovanni Nicotera. Ha una forma particolare, quasi un cuore dal quale si dipartono i vicoli adiacenti. Al centro, è installata una fontana che, imperterrita con il suo scrosciare, sembra illudere i turisti che lì ci sia ancora la vita. Anche gli alberi e la natura che ci circonda ci trasmettono un'analoga sensazione. Si affaccia sulla piazzetta la Chiesa principale, di origine settecentesca le cui porte sono naturalmente serrate.

E' tutto come in passato, ma forse sarebbe stato meglio non tentare neanche di rimettere in piedi dei palazzi, cosi' da preservare lo stato dei luoghi e la loro intrinseca bellezza rustica: qua e là ci sono transenne e impalcature recenti, ma sono solo segni di lavori iniziati e mai finiti.

Tuttavia qualche contadino lo attraversa sul suo trattore, percorrendo le strade malmesse per giungere più velocemente in campagna. L'esodo fu lento e oggi il borgo conta un solo abitante che trascorre tutto il giorno al riparo di un grosso tendone di plastica, da solo, aspettando i visitatori o trascorrendo il suo tempo con i dieci gatti che sembrano fargli da guardia.

Ci narra la storia del paesino che si intreccia con la sua, ci conduce in un piccolo museo in cui sono custoditi vecchi strumenti da lavoro, e poi ci fa vedere dove vive: una stanza angusta con le provviste in un angolo, un materasso e un tavolo pieno di lettere che gli arrivano da tutto il mondo; ci dice di non aver bisogno d'altro.

Roscigno significa usignolo. Ha il nome di un uccello dalla voce soave che rallegra di primo mattino e rasserena il cuore. Il piccolo angolo del Sud, in provincia di Salerno, oggi non fa sorridere, ma forse nei visitatori lascia una strana malinconia, come tutte le cose belle che, abbandonate a se stesse e dimenticate, acquistano tristezza e sembrano parlare. Non possiamo non sperare che prima o poi Roscigno ritorni a cantare e a raccontarci tutto quello che ha visto cambiare e trasformarsi.  

Giuliana Scamardella

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