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Olimpiadi di Rio. La splendida realtà del Team dei Rifugiati.

07/08/2016

Olimpiadi di Rio. La splendida realtà del Team dei Rifugiati.

Fuggire dal proprio destino e ritrovarsi a gareggiare per una medaglia.

Aveva certamente previsto anche questo, Prometeo, quando secondo il mito donò il fuoco agli uomini. L’avranno desiderato, forse sognato, anche le migliaia di tedofori, che nel corso delle tante edizioni delle Olimpiadi dell’era moderna hanno portato nelle mani il sacro simbolo della fiaccola.

E sono poi venuti i Giochi Olimpici di Rio. La prima volta in assoluto, nella storia dell’umanità, in cui degli atleti gareggeranno –anzi, hanno già cominciato a gareggiare- non sotto la bandiera di uno dei 207 Paesi partecipanti, ma sotto il vessillo a cinque cerchi del CIO. Sono dieci, i rappresentanti del Team of Refugee Olimpic Athletes che partecipano ai Giochi Olimpici in sei diverse discipline, tutti in fuga dalla guerra che attanaglia le proprie nazioni, tutti con lo status di Rifugiati.

Hanno sfilato, sorridenti ed emozionati come tutti gli altri 11.350 atleti, stretti l’un l’altro come un’unica squadra, da veri testimonial di pace attraverso lo sport. Il Team formato da questi atleti, durante la cerimonia di apertura dei Giochi, è stato il penultimo a entrare nello stadio Maracanà, immediatamente prima dei padroni di casa del Brasile, ed è stato accolto da una vera ovazione.

Spirito olimpico allo stato puro, dunque. Questa è forse la novità più eclatante (e la notizia più bella) che ci giunge dalla capitale carioca, ora che sono appena state assegnate le prime medaglie. A questi atleti sono giunti anche gli auguri del Papa, che ha parlato di loro come dei portatori di “un grido di fratellanza e di pace”, che possa far capire al mondo che con la guerra non si va da nessuna parte.

E’ arrivata felicemente al suo sogno, invece, la diciottenne portabandiera della squadra, Yusra Mardini, nuotatrice siriana, che poco meno di due anni fa è sopravvissuta a un naufragio nelle acque del Mar Egeo, mentre scappava dal suo martoriato Paese. Nella piscina di Rio nuoterà per raggiungere un traguardo ben più dolce.

Due atleti di questa splendida ed originale squadra hanno già partecipato ai rispettivi combattimenti, nelle gare di Judo che si sono tenute nel primo giorno della manifestazione. Non sono saliti sul podio, Yolande Bukasa Mabika e Popole Misenga entrambi provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, ma il palazzetto che ospitava le gare ha accompagnato le loro gesta con continui applausi e tante urla.

Chi volesse seguire le prestazioni degli altri otto atleti rifugiati, potrà ritrovarli impegnati nelle batterie di qualificazione delle rispettive specialità:

Oltre alla giovane Yusra, impegnana nei 200m stile libero, si tufferà in vasca anche il suo connazionale Rami Anis (100m farfalla). Poi sarà il turno di cinque rifugiati originari del Sud Sudan: Yiech Pur Biel e Rose Nathike Lokonyen (Atletica, 800m), Anjelina Nada Lohalith e Paulo Amotun Lokoro (Atletica, 1500m), James Nyang Chiengjiek (Atletica, 400m) e infine sarà la volta dell’etiope Yonas Kinde, che parteciperà alla mitica maratona, la gara olimpica per eccellenza.

Non possiamo che guardare con grande simpatia anche noi questo team, dunque, icona della fratellanza tra tutti gli uomini, sperando che la storia dei suoi atleti sia occasione di riflessione per l’intera umanità, così com’era nel Settimo Secolo a.C. nell’antica Grecia, quando, nei giorni in cui si svolgevano i Giochi, si fermavano (per davvero) tutte le guerre. 

Carmine Ciniglia

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